Pompea ritratta nel "Promptuarii Iconum Insigniorum" del 1553 |
La seconda moglie di Cesare e già figlia di Silla, Pompea Silla, aveva un amante, tale Publio Clodio Pulcro.
Cesare, all'epoca, era di là dal divenire dittatore di Roma, ma aveva già iniziato una sfavillante carriera. Due anni prima del "fattaccio" generatore dell'aforisma era stato nominato Pontifex Maximus (ovvero capo dei sacerdoti e controllore massimo del diritto romano) e poco tempo prima addirittura Praetor (magistrato romano dotato di potere pubblico di stampo militare e fautore dell'impostazione della causa in una controversia).
Ora, Pompea, non contenta di cotanto marito, si infatuò, ricambiata, di Clodio, rampollo della gens Claudia e collaboratore di Cicerone nell'accusa ai congiurati catilinari. Clodio, vuoi per una bravata, vuoi per uno smacco al "celebre cornuto" (nonchè avversario politico della gens Iulia), si intrufolò in casa di Cesare durante una festa riservata a sole donne, i Damia, riti in onore della Bona Dea. Colto sul fatto da un'ancella, Clodio riuscì a fuggire, ma ormai la frittata era fatta: quella notte fra il 4 e il 5 Dicembre del 68 a.C. passò alla storia; tutti a Roma lo vennero a sapere.
Cesare decise di divorziare dalla moglie ma si rifiutò di testimoniare contro Clodio al processo che ne seguì, adducendo come scusa la famosa frase in epigrafe... Cicerone, per contro, non fu tanto accomodante quanto Cesare, e testimoniò vigorosamente contro Clodio. Questi, però, fu assolto, perchè il collegio giudicante venne corrotto e comprato da Marco Licinio Crasso, che insieme allo stesso Cesare e a Gneo Pompeo formerà il primo triumvirato. Ve l'avevo detto che era una soap opera!
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